Terremoto in Pianura Padana Emiliana: inquadramento geologico

Le informazioni principali sulla Pianura Padana provengono dalle esplorazioni petrolifere. La Pianura Padana è un’area a basso rilievo morfologico ricoperta da un ingente spessore – fino a 8 km – di sedimenti terrigeni Plio-Pleistocenici. Nell’area della zona epicentrale del terremoto del 20 Maggio 2012, le fasi tettoniche compressive – che hanno portato alla formazione delle catene montuose delle Alpi e degli Appennini – hanno prodotto pieghe asimmetriche, faglie inverse e thrust. Nel caso dell’Appennino settentrionale, queste strutture hanno vergenza verso nord-nord-est (quindi immergenti verso sud) e coinvolgono sia la copertura sedimentaria che la sequenza carbonatica Mesozoica sottostante.

A grande scala, nella Pianura Padana si distinguono a nord le pieghe del Sudalpino e, nella parte meridionale, tre strutture principali ad arco, costituite dai thrust più avanzati della catena appenninica. Da ovest a est: l’arco del Monferrato, l’arco Emiliano (Mirandola) e l’arco di Ferrara. Quest’ultimo si può suddividere in tre gruppi minori: le pieghe ferraresi, le pieghe romagnole e più a est le pieghe adriatiche, che costituiscono il vero fronte esterno (sepolto) della catena appenninica. L’arco ferrarese è sepolto al disotto di una sequenza Plio-Pleistocenica terrigena che copre la successione carbonatica mesozoica, che costituisce la vera ossatura dell’Appennino.

Nella mappa geologico-strutturale, leggermente modificata da un lavoro di Boccaletti e Martelli (2004),  sono riportate le principali strutture tettoniche sepolte in Pianura Padana. Sulla carta sono stati tracciati gli assi P desunti dai meccanismi focali relativi all’evento principale (M 5.9) e a due eventi successivi di magnitudo (M 5.1). Tali assi P indicano la direzione di massima compressione in atto, circa nord-sud; sono stati inoltre tracciati gli assi di massimo sforzo sul piano orizzontale desunte dai dati di breakout ricavati in pozzi profondi dell’area.

Ipotesi preliminare del piano di faglia attivato il 20 maggio, basata sulla geologia dell’area, l’ubicazione dell’ipocentro dell’evento di M5.9 e il meccanismo focale del terremoto. Quest’ultimo non risolve univocamente il piano di faglia attivo. L’analisi dei dati sismici e geodetici -in corso- potrà dirimere la questione.

La definizione delle faglie attive e in grado di produrre terremoti è particolarmente difficile in aree dove le strutture sono sepolte e dove il tasso di sismicità è basso, come nel caso della pianura padana. Un’indicazione dell’ubicazione e delle caratteristiche delle faglie attive in quest’area si può trovare nel DISS (Database of Individual Seismogenic Sources).

Nei giorni dopo il terremoto, i geologi del gruppo Emergeo dell’INGV hanno effettuato rilievi di dettaglio nelle aree colpite dal sisma per verificare gli effetti del sisma e cercare elementi utili all’identificazione del piano di faglia.

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